Intervista a Juliette Evola, autrice dell’opera “Le 12 civette”

Intervista a Juliette Evola, autrice dell’opera “Le 12 civette”

Juliette Evola è un'insegnante in pensione, una scrittrice e una regista, ed è appassionata da sempre di magia ed esoterismo; è nata a Praga nel 1951 ma è triestina d'adozione. Ha pubblicato le raccolte di poesie “Le malevole” (1988) e “I fiori bianchi” (1993) e il thriller esoterico “Le 12 civette” (Alessandro Polidoro Editore, 2025).
 
«Ci presenta la sua enigmatica opera “Le 12 civette”?»
Come mi faceva notare la badante ucraina di mia madre che leggeva i capitoli del mio libro mentre li stavo scrivendo: “signora, non sono sicura di aver capito esattamente dove vuole andare a parare, ma ogni volta che inizio a leggere il suo libro non riesco a staccare gli occhi dalla pagina!”. Ecco, per me questa è l'unica cosa che conta e i complimenti di Oksana sono i più preziosi che io abbia mai ricevuto.
 
«Il titolo del romanzo, “Le 12 civette”, suscita istintivamente un senso di mistero:
qual è il significato che si cela dietro questa scelta, e come si collega alla vicenda narrata nel libro?»
Nella cabala ebraica il 12 rappresenta la totalità originaria, il sacrificio, la fatica fisica e morale, il percorso esoterico che conduce alla fine di un ciclo e all'inizio di un percorso di rigenerazione. Nei tarocchi il numero 12 corrisponde alla lama dell'Appeso, che come Lei sa ha un ruolo narrativo strategico all'interno del mio romanzo.
Lo scacco esistenziale subito dal protagonista Samuele rappresenta allo stesso tempo la possibilità di vedere il mondo da un'altra prospettiva e quella di una morte/rinascita in grado di riportare alla luce ciò che rimane ordinariamente celato.
In fondo ogni narrazione gnostica funziona nello stesso identico modo.
 
«Lei mescola in questa storia richiami all'attualità, suggestioni da romanzo thriller,
atmosfere derivanti dal mondo dell'esoterismo e riferimenti al folklore dolomitico;
qual è stata la miccia che ha fatto scattare l'idea alla base dell'opera?»
Dopo una vita passata tra i banchi di scuola a fare la maestra, una volta in pensione, su suggerimento dell'amico e mentore Orazio Labbate, ho iniziato a buttare giù i primi appunti di un'idea che da tempo mi frullava in testa: la storia di una donna malata che allaccia una relazione virtuale con un uomo al quale chiede di porre fine alle sue sofferenze attraverso l'utilizzo di pratiche sciamaniche.
Poi nel tempo, come è normale che sia, si sono stratificate altre suggestioni e, quando nel 2020 è arrivato il Covid-19, quello spunto originario, trascinato dalla forza catalizzatrice dell'emergenza sanitaria, confluì quasi per magia nel mio romanzo che nel volgere di pochi mesi assunse una forma pressoché compiuta. La dialettica polarizzata vax - no vax, il lockdown, le mascherine chirurgiche, il distanziamento sociale, il saluto con il gomito, la didattica a distanza, il negazionismo complottista sono stati poi strumenti attraverso i quali ho organizzato la struttura diegetica de Le 12 civette, circoscrivendo lo sviluppo temporale della trama tutto all'interno dell'anno pandemico.
 
«Quanto della sua esperienza personale entra nella storia, seppure in forma romanzata?»
In realtà davvero poco. Sono piuttosto riservata, non mi piace mettermi in mostra e in genere non sono particolarmente attratta da quella letteratura che fa leva su un eccesso di autobiografismo.
Sono però legata ad alcuni luoghi che fanno da sfondo alla vicenda del mio romanzo e nutro un certo interesse per le realtà locali e periferiche. Questo è uno dei motivi per cui da vent'anni a questa parte trascorro l'estate a Falcade, un ridente paesino dolomitico non distante da Agordo (luogo di villeggiatura ma anche sede di una delle realtà industriali più peculiari del nord Italia), dove è ambientata gran parte della trama. Conoscendo ormai molto bene l'atmosfera sospesa e rarefatta di quei posti, durante l'anno pandemico mi è venuta l'idea di provare ad ambientarci una storia d'amore venata di tinte gialle, però con l'intenzione di riempirla di riferimenti esoterici e folclorici.
 
«Samuele, il protagonista del romanzo, è un personaggio discutibile e che ha buone possibilità di risultare respingente per il lettore: un complottista no vax paranoico e con tendenze maschiliste, sebbene a volte riesca a manifestare una complessità psicologica che non ci si aspetta. Quanto è stato difficile assumere il punto di vista di una figura tanto controversa? E perché ha scelto proprio questa tipologia di personaggio?»
L'intenzione era quella di assumere il punto di vista di un complottista no vax - che è stato forse il personaggio archetipale più ricorrente nel dibattito mediatico/culturale del periodo pandemico - senza però stereotiparlo o ridurlo a una macchietta priva di spessore psicologico ed esistenziale. Provare a prenderlo sul serio, insomma. Quella peculiare categoria sociale risultava a mio avviso particolarmente funzionale a raccontare i caratteri di un periodo così controverso e polarizzante in un plot incentrato su un vanishing à la Hitchcock.
La passione di Samuele per le scienze occulte (anche se un esoterismo fai da te e un po' naïf) è invece legata da una parte ai miei interessi personali, dall'altra ad esigenze di trama e di verosimiglianza. Ricorderà infatti che il 2020 ci fu una deflagrazione senza precedenti di teorie complottistiche.
Ma spesso la proliferazione di teorie del complotto dipende anche dal fatto che quelle “ufficiali” non risultano particolarmente convincenti. Se non ci fossero stati da subito evidenti buchi di sceneggiatura nella versione governativa dell'omicidio di J. F. Kennedy certamente la letteratura critica sull'argomento sarebbe stata molto più limitata.
Ecco che allora ho provato ad amplificare la sua caratterizzazione rendendolo maschilista, reazionario, conservatore, complottista, paranoico, ossessivo-compulsivo, devoto a Diego Fusaro e a Dwight “The Rock” Johnson e odiatore seriale di Michela Murgia e delle derive del politically correct e della cultura woke.
 
«In questo romanzo si riflette sulla percezione della verità, in un mondo sempre più dominato da polarizzazioni che portano solo confusione. Che tipo di consapevolezza spera di generare nei lettori che si approcciano alla sua opera?»
La pandemia prima e la vicenda bellica poi hanno portato allo scoperto ciò che fino a qualche anno fa appariva più sfumato: la presunzione di detenere una verità certa e incontrovertibile e le corrispettive strategie di debunking nascondono in realtà interessi e moventi ideologici che non sono altro che il risultato di determinate prospettive di utilità per il mantenimento e il rafforzamento delle forme di dominio umano. La verità è spesso una cosa complicata e stratificata, che non può essere patrimonio esclusivo dei Ministeri o di sedicenti fact-checkers. Dare del complottista o del negazionista a qualcuno semplicemente perché ha una visione differente dalla nostra è solo un modo per delegittimarlo e per bandirlo dal dibattito, evitando ogni vero confronto dialettico. La realtà non è quasi mai come ci appare e, tantomeno, come ci viene presentata.
Quid est veritas?
La verità sta nelle versioni ufficiali dei governi occidentali e delle multinazionali belliche e farmaceutiche oppure negli interventi dei vari Agamben, Barbero, Cacciari e di tanti altri artisti/intellettuali in giro per il mondo che si sono presi dei complottisti/negazionisti/filo-putiniani per aver provato a problematizzare la narrazione dominante?
Non occorre scomodare ogni volta il Mito della Caverna per capire che la verità è frutto di un percorso insidioso e travagliato, intrinsecamente alchemico dal mio punto di vista. Ecco, nel mio libro ho provato a raccontare questa complessità all'interno di un orizzonte di genere da thriller.
 
 
«“Le 12 civette” è dedicato alla memoria della scrittrice e attivista Michela Murgia.
Quali sono gli autori e i pensatori che hanno influenzato la scrittura del suo libro, e
in generale il suo approccio alla letteratura e all'arte visiva?»
Il mio protagonista la detesta con tutto se stesso, anche se sono consapevole che Michela Murgia ha rappresentato per molti un punto di riferimento, a prescindere dal mio giudizio critico su di lei e sulla sua opera. Credo sia complicato individuare nel dibattito culturale italiano degli ultimi decenni un personaggio più significativo e influente di Murgia, certamente divisivo ma anche parecchio affascinante e poliedrico. Accabadora è il romanzo che mi ha consentito di mettere a punto il meccanismo narrativo su cui si regge Le 12 civette. Qualcuno mi ha fatto notare che dedicare il romanzo a Michela Murgia e farlo poi introdurre da Diego Fusaro potrebbe rappresentare una contraddizione in termini. Ma io credo che sia un cortocircuito che riflette la schizofrenia del nostro tempo. Certamente Murgia e Diego Fusaro rappresentano due modi radicalmente diversi di intendere la realtà: ecco, mi interessava proprio provare a metterli in dialogo all'interno di una medesima dimensione narrativa. Gli autori che mi hanno influenzata sono innumerevoli: c'è  Umberto Eco, c'è Jonathan Littell, c'è Gombrowicz e ovviamente Bernhard, oltre a registi come Lynch, Polanski e Švankmajer.
 
 
Contatti
https://www.instagram.com/julietteevola66/
https://www.facebook.com/profile.php?id=61570855236540
https://www.alessandropolidoroeditore.it/libreria/interzona-polidoro/le-12-civette-di-juliette-evola/
 

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